Morte nel chiostro by Marcello Simoni

Morte nel chiostro by Marcello Simoni

autore:Marcello Simoni [Simoni, Marcello]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2024-03-15T00:00:00+00:00


36.

Dopo aver lasciato Raterio e Vespertilio nel parlatorio, Engilberta ordinò a Prospera e a Ursiana di tornare alle loro rispettive mansioni. Poi si avviò con la misteriosa Winda di Saint-Félix verso la torre.

“A proposito della reliquia rubata,” le disse, mentre camminavano fianco a fianco sotto il loggiato del chiostro, “potreste confidarmi di cosa si tratta?”

“Non mi è concesso,” replicò Winda.

“Apparteneva forse al vostro signore, Enrico di Marcy?” insistette la badessa, nel tentativo di svelare almeno una parte di quell’arcano.

Per tutta risposta, la donna prese a guardarsi intorno con fare circospetto. “Insolita quiete,” osservò. “Dove si trovano le vostre consorelle?”

“Nell’aula del cucito,” rispose Engilberta.

Quasi avesse familiarità con la conformazione del monastero, Winda puntò lo sguardo verso l’edificio del dormitorio. “Tutte quante?”

“Eccetto la portinaia e la campanara. E tre anziane intente a vegliare sul corpo di una soror appena defunta.”

“Ho saputo della vostra perdita,” replicò a tal riguardo Winda, senza scomodarsi a manifestare una briciola di cordoglio. Poi lanciò altre occhiate tra le colonne. “E per quanto riguarda la servitù?” soggiunse. “Avete famigli o conversi ai vostri ordini?”

“No.”

“Nemmeno qualche buon samaritano che di tanto in tanto venga a svolgere i lavori pesanti?”

“Con l’aiuto di Dio, siamo abituate ad arrangiarci da sole.”

“Me ne compiaccio,” fece la donna, anche se dal suo volto trapelava una velata espressione di compatimento.

“E il cenobio al quale appartenete, se posso chiedere?” ribatté Engilberta, mentre le indicava l’accesso alla torre. “Saint-Félix è il suo nome?”

Winda abbozzò un cenno affermativo. “Si trova in Linguadoca, nei pressi della città di Tolosa,” spiegò evasiva. “Vent’anni fa, quand’ero ancora una fanciulla, vi si tenne un importante concilio teologico.”

“Non me ne sovviene memoria,” dovette ammettere la magistra abbatissa, suscitando una risatina indecifrabile dell’ospite. “E riguardo il guanto di cuoio che poc’anzi indossavate?” riprese a interrogarla. “Cosa significa?”

“Questo dovreste domandarlo al mio falco,” la canzonò la donna. “Ma ahimè, sarete costretta ad aspettare. L’ho lasciato fuori dal monastero, appollaiato sull’arcione del cavallo.”

Engilberta finse di non aver colto quella ventata maligna di scherno. “Soltanto le badesse dei grandi conventi si fanno vanto di possedere uccelli rapaci,” osservò. “Anche se, a quanto si racconta, raramente sono use servirsene per andare a caccia.”

Winda liquidò la questione con una smorfia e attraversò il portale della torre. “L’uomo cui avete accennato si nasconde lassù?” chiese conferma, guardando verso la sommità delle scale.

La badessa annuì. “Alloggia in un cubicolo vicino alla colombaia.”

“Il suo nome?”

“Guido degli Ademari.”

“E per quale motivo gli avreste concesso asilo?”

La magistra abbatissa si strinse nelle spalle. “Entro breve potrete chiederglielo di persona,” rispose con aria di sfida.

A dispetto della sgradevole intromissione del chierico Raterio e della sua sodale, non provava alcun rimorso all’idea di tradire la fiducia di messer Guido. Quell’individuo era infido e prepotente, una vera spina nel fianco. D’altro canto, temeva che non sarebbe stato facile convincerlo a collaborare senza l’uso della forza. E di certo, una donna esile come Winda aveva ben poche speranze di farsi valere su un uomo grande e grosso educato alla guerra.

Quasi in risposta a simili pensieri, l’emissaria di Enrico di Marcy sfilò un pugnale dalla svasatura di una manica e iniziò a salire le scale.



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